Siamo negli anni ’70 del Settecento, e un sovrano europeo si desta nella sua regale dimora spagnola. E’ Carlo III, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, che quel giorno chiama il suo scriba e gli detta una lettera, che poi sigillerà di suo pugno e farà spedire.
La lettera del sovrano
La lettera avrà occupato probabilmente una notevole porzione della capacità diplomatica del sovrano: si stava rivolgendo all’ambasciatore di Venezia, potenza commerciale e faro culturale di una realtà politica regionalista e estremamente frammentata. Venezia, nella frammentazione, era pur sempre Venezia, e proprio in questa città risiedeva uno dei pittori più ambiti dai sovrani europei che volessero dettare alle due dimensioni pittoriche la propria compiaciuta auto-celebrazione: Giambattista Tiepolo fu effettivamente pregato dall’ambasciatore di Venezia di abbandonare i propri impegni e le proprie precedenti commitenziucole, e di recarsi quanto prima a Madrid.
Il pittore della convenienza
In fondo al suo pragmatismo Tiepolo vedeva un’ottima occasione per incrementare i suoi guadagni. Ricordiamo che le grandi committenze erano una manna dal cielo, oltre che una specie in via d’estinzione, per le tasche sempre più vuote dei nobili italici. Sulle corti europee si andava probabilmente più sul sicuro, ma comunque rispetto al ‘600 la situazione era più difficoltosa. Tiepolo, come emerge dalle sue lettere in modo direi abbastanza chiaro, seguiva il denaro, e con esso la sicurezza che gli avrebbe dato nella sua opera artigianale/pittorica.
A Madrid
E così, con il suo gusto definito e riconoscibile, il grande artista potè dedicarsi a una crescita professionale incredibile, oltre che godersi gli anni della maturità in un solo luogo, riverito dai cortigiani anche se nelle normali condizioni di un assunto a tempo determinato.
Non ce lo vedo a frequentare la vita di società, come emerge anche da certi passi un po’ scostanti delle sue lettere (intendo le lettere che scrisse e ricevette in quel periodo).
Fatto sta che il grande artista germogliato nella Repubblica Serenissima, finì i suoi giorni in una delle monarchie meno liberali e più Barocche dell’epoca.