A riprova secondo me del fatto che gli artisti italiani fossero anche artigiani, Giotto realizzò i suoi affreschi basandosi su una conoscenza completa sia del processo dell’affresco, sia delle possibili variazioni da attuare a seconda della zona entro il quale il dipinto veniva realizzato.
Quando inserire colori e metalli preziosi in un affresco
Di sicuro il processo per la carbonizzazione della calce deve essere conosciuto nel dettaglio da un artista umanistico-rinascimentale che si avvicina alla tecnica dell’affresco.
La tecnica più resistente era il “buono affresco”, seguito da quello della tempera a secco.
Alcuni colori non erano in grado di sopravvivere alla calce dell’intonaco fresco, e dovevano essere aggiunti in un secondo momento.
In un terzo momento invece possiamo aggiungere alcuni elementi che impreziosiscono il risultato finale, ad esempio stagno dorato, oro, resina e olio.
Affreschi che si degradano
Sono tristemente famose le immagini di affreschi, come l’Ultima Cena leonardesca, quasi completamente rovinati dall’incuria e dal passaggio del tempo.
Gli affreschi, ahinoi, si degradano. È una loro caratteristica direi peculiare, che ha molto a che fare con i materiali e le tecniche utilizzate in fase compositiva, ma anche con il grado di umidità e di infiltrazioni presentato dalle pareti.
Le tecniche più resistenti erano generalmente lo stucco lucido e la pittura a fresco.
Per quanto riguarda i metalli che impreziosiscono il risultato finale, lo stagno tendeva come prevedibile a scurirsi, mentre l’oro, inossidabile, rimane intatto.
Interessante valutare cosa è rimasto oggi della tecnica pittorica dell’affresco, e cosa di questo sapere antico ci ha concesso di vedere alcune tra le espressioni più sublimi della migliore arte italiana.