Siamo forse poco abituati a pensare i doppiatori come appartenenti al novero dei lavoratori dello spettacolo, ma sbagliamo: soprattutto in Italia, il settore dei doppiatori è molto fiorente e costituisce una parte importante del business cinematografico.
In più, i nostri doppiatori sono generalmente dei fuoriclasse, e questo rende spesso accettabile non guardare un film in lingua originale, privilegiando la versione doppiata in italiano.
Però, anche se questa consapevolezza attraversa i salotti e bar in conversazioni più o meno convinte, non è detto che arrivi a forgiare una consapevolezza politica.
O meglio, nessuno pensa ai doppiatori, e nessuno pensa a loro come dei lavoratori, con diritti ben specifici.
Anche qui, dobbiamo toglierci i paraocchi e guardare alla realtà con un po’ più di spirito critico.
La protesta dei doppiatori
La protesta dei doppiatori consiste sostanzialmente nel mancato accordo con il nuovo contratto nazionale.
“Da parte delle associazioni dei professionisti del doppiaggio è stata anche avviata la costituzione di un fondo per sostenere lo sciopero finanziando i lavoratori più deboli da un punto di vista economico” riporta inoltre ANSA.
Ma qual è l’oggetto del contendere?
Come anche altre categorie dello spettacolo, tra cui attori, stuntman e fonici, giusto per citarne alcune, c’è fermento. La richiesta del primo sciopero, tenutosi prima dell’assemblea generale del 7 marzo, e ora annunciato per un’altra settimana, è quella di avere un contratto collettivo nazionale unico.
Richiesta che come sempre risulta lecita nei settori creativi, ma che ci riporta agli inizi del secolo scorso per altri settori più tradizionalmente considerati “lavorativi”, come il commercio/servizi o il metalmeccanico, ad esempio.
Il concetto di lavoro creativo
Alla base del fraintendimento sta, secondo me, il modo in cui viene concepito il lavoro creativo in Italia, ma in generale nel resto del mondo. Se è divertente, non stai lavorando, questo sembra il sottinteso principale. Per quanto infatti tolleriamo che una persona svolga una professione divertendosi, lo tolleriamo quando concepiamo questa persona come un genio nel settore, come qualcuno che si è applicato molto e mostra delle doti fuori dal comune per quella professione.
Se invece lasciamo spazio alla libera contrattazione, chi si occupa di attività tradizionalmente considerate “divertenti” sembra non meritare un equo trattamento.
Apriamo gli occhi: fare lo stuntman o il fonico non è come fare l’attore. In ogni caso, nessuno di costoro ozia a tempo pieno, e si tratta di professioni dignitosissime. Inutile da ribadire, ma partiamo da questa concettualizzazione, e poi forse possiamo affrontare l’argomento del contratto collettivo nazionale.