Le “Sonate à violino e violone o cimbalo” di Arcangelo Corelli, composte attorno alla fine del XVII secolo, sono un passaggio obbligato per chi vuol affermare di conoscere la musica barocca.
Le sonate da chiesa (1 e 3) hanno un carattere più formale e austero, e le sonate da camera ( 2 e 4) sono decisamente più leggere e danzanti. Ogni sonata è composta da una serie di movimenti che alternano tempi lenti e veloci, esplorando una varietà di forme e stili musicali.
Due parole sulle stile
La tecnica violinistica richiesta in queste sonate è emblematica dello stile barocco. Corelli saccheggia l’ornamentazione, ad esempio i trilli e appoggiature, il che richiede una grande precisione ritmica e chiarezza realizzativa.
La pratica esecutiva storica gioca un ruolo cruciale nell’interpretazione di queste sonate. L’uso di archi in budello, violini barocchi e tecniche di arco dell’epoca contribuisce all’autenticità dell’esecuzione.
Pur essendo tecnicamente meno complesse rispetto alle opere di compositori successivi, le sonate di Corelli richiedono un discreto equilibrio tra espressione e rispetto della forma, che come sa chi ha studiato la musica barocca, non sempre è possibile.
Le sonate di Corelli hanno avuto un impatto profondo sulla musica barocca e sullo sviluppo della sonata per violino. La sua influenza arriva a Handel, Bach e Vivaldi, ma anche a Battiato, se proprio vogliamo perderci nel citazionismo.
Da un punto di vista tecnico
Le sonate di Corelli possono sembrare meno esigenti rispetto a quelle di Paganini o di altri compositori romantici. Ma la loro bellezza risiede nella semplicità e nell’eleganza e richiede un’esecuzione che sia all’altezza. Un po’ come Glenn Gould e Martha Argerich su Bach: se non ci fosse il loro piglio da musicisti, che sovrasta la diligenza del mero esecutore, queste opere di grandi maestri sarebbero senz’altro molto più piatte e poco notabili all’orecchio e alla critica successiva.