Quando si parla di letteratura napoletana si tende spesso a pensare al teatro, da Scarpetta al grande Eduardo De Filippo, ma senza dimenticare Patroni Griffi.
Chiaramente, per chi nel territorio napoletano ci è nato e cresciuto, la familiarità con gli straordinari autori di quel contesto è più grande.
Salvatore di Giacomo
Sicuramente per gli abitanti locali si ha una certa familiarità con Salvatore Di Giacomo, autore del tutto dimenticato dalla letteratura ufficiale, ma che metterebbe un posto d’onore in ogni antologia.
Di recente ho rivisto una rappresentazione del capolavoro di Di Giacomo “Lassame fa a Dio”, tradotto in italiano “lasciamo fare a Dio”. Protagonisti apparenti sono la coppia più celebre tra le personificazioni divine fiabesche della letteratura popolare nostrana: Gesù e San Pietro.
I due, di cui parla spesso anche Calvino nelle sue fiabe italiane, scendono dal Paradiso e si fanno un giro a Napoli.
Dominando magistralmente la tecnica dell’elencazione, che molto ha di teatrale, Salvatore Di Giacomo ci dà uno squarcio perfettamente dipinto della città. Gesù e san Pietro camminano per gli splendidi vicoli e piazze di Napoli, ne ammirano il cielo, il sole e l’aria di festa.
Si siedono anche in un preciso caffè e ordinano due limonate, mentre il rampollo divino rimane colpito: come dice a San Pietro, è stupito che gli esseri umani si lamentino così tanto, a fronte di una così bella città, ridente, abbondante e apparentemente senza problemi.
Con il piglio Pragmatico che lo contraddistingue, San Pietro non contraddice Gesù ma lo porta piuttosto nei rioni “sbagliati”. Qui non mancano mendicanti, morti di fame e la miseria più nera.
In un cambio di scenografia, i due avvolgono un lenzuolo su questi poveretti e li portano in paradiso, dove viene allestito per questi ultimi un banchetto regale.
L’arrivo della morte
Inaspettata e non invitata, al termine del banchetto giunge la Morte, e nessuno sembra scandalizzarsi poi tanto: in fondo di povera gente si tratta, che verrebbe vezzeggiata in Paradiso e non dovrebbe avere alcun interesse a tornare in quella valle di lacrime.
Ma mentre la morte sta per spendere la propria mano pacificatrice, la scena cambia di nuovo. Nannina la mendicante si è alzata, corre ovunque in un tripudio di voglia di vivere.
Solo quando Nannina è lasciata scendere, da sola, nella condizione di miseria orribile nella quale viveva prima della breve pausa in Paradiso ci rendiamo conto del perché è voluta tornare: suo figlio di pochi mesi aveva bisogno di essere allattato.
E così, in un inno alla vita, si conclude questa parentesi che coniuga una comicità quasi da avanspettacolo e i migliori momenti di teatro drammatico che i grandi della letteratura ci hanno abituati a conoscere.