Persone con reddito basso o inesistente pagate per applaudire o fischiare determinati comizi tenuti dai candidati politici nelle piazze. Scandali personali portati senza alcun ritegno alla luce del sole. Distruzione notturna di simboli religiosi tradizionali importantissimi. Esclusione inequivocabile di alcune categorie sociali dal diritto di voto.
Riconoscete questo scenario?
Non sto dipingendo un Paese contemporaneo – magari del Terzo Mondo – in cui i diritti politici siano ancora ben lungi dall’essere quelli europei. Sto dipingendo la Grecia classica, come l’abbiamo studiata a scuola. La culla della democrazia, gli inventori della democrazia, i filosofi e i teorici della democrazia…
In realtà, basterebbe leggere poche righe degli storiografi dell’epoca per rendersi conto che nel sesto secolo avanti Cristo ad Atene e Sparta vigeva tutt’altro che quello che noi intendiamo come democrazia. Innanzitutto, la base elettorale era molto più risicata di oggi e la concessione di cittadinanza passiva non era altrettanto facile. A chi oggi fatica nell’acquisizione della cittadinanza ciò sembra assurdo.
Come, verrebbe da chiedere, può essere ancora più difficile di così?
Purtroppo sì, come dimostra il fatto che i meteci e perieci non fossero cittadini ateniesi, oppure gli iloti non fossero cittadini spartani. Inutile precisare che non possiamo attenderci da una società di quel tipo delle conquiste che caratterizzano la nostra democrazia liberale e che sono frutto di capovolgimenti storici ed evoluzioni molto importanti.
Però dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare, o meglio a Solone quel che è di Solone: la democrazia parlamentare che abbiamo in Italia sarebbe stata impensabile per un ateniese antico.
Certo sono stati loro a concepire l’idea di allargamento del diritto di voto. Ma la strada che abbiamo dovuto fare con le nostre gambe è stata lunga, molto lunga.