“Sì, tu e quell’altro amico Fritz”.
Quante volte si sente, principalmente nelle province venete e lombarde, questa espressione?
In pochi però sanno dire da dove deriva.
Mi piacerebbe creare della suspence, ma in realtà è presto detto: da un’opera lirica.
Pietro Mascagni e l’amico Fritz
Tra le pagine meno esplorate del repertorio operistico si trova “L’Amico Fritz” di Pietro Mascagni, un’opera che, diciamocelo serenamente, non ha mai raggiunto la fama di altri lavori del compositore (vedi la Cavalleria Rusticana).
“L’Amico Fritz” è un’opera in tre atti su libretto di P. Suardon (pseudonimo di Nicola Daspuro), basata sul romanzo omonimo di Émile Erckmann e Alexandre Chatrian. La sua prima rappresentazione avvenne al Teatro Costanzi di Roma il 31 ottobre 1891, riscuotendo un discreto successo.
Bucolica e allegra
La narrazione è semplice, intrisa di valori umani e sentimenti genuini, quasi bucolica. La trama ruota attorno alla figura di Fritz Kobus, un ricco e bonario scapolo che vive in Alsazia, il quale giura di rimanere celibe, e del suo amico Rabbin David, che scommette di riuscire a farlo innamorare. La scommessa prende una svolta inaspettata quando Fritz incontra Suzel, la figlia del suo fattore, e i due si innamorano gradualmente attraverso una serie di incontri caratterizzati da un’innocente e crescente affezione.
Musiche
La musica di Mascagni in “L’Amico Fritz” si allontana dalle tensioni drammatiche e dalle tematiche veriste tipiche di “Cavalleria Rusticana”, per abbracciare uno stile più lirico e pastorale. Famoso è il duetto dei ciliegi in fiore nel secondo atto, simbolo dell’amore nascente tra Fritz e Suzel.
Perché l’amico Fritz non ha bucato lo schermo?
L’oblio colpisce anche gli innocenti: a mio parere, ma anche a parere di molti critici, l’amico Fritz è un’opera con tutte le carte in regola. Le ragioni del suo relativo oblio sono molteplici: in parte può essere attribuito alla mancanza di grandi momenti drammatici o di colpi di scena che caratterizzano opere più popolari.
Di Bucoliche e di Georgiche già ne abbiamo, forse, abbastanza.