Continuando il discorso iniziato con F. Tornando al cinema muto accompagnato dall’orchestra, è facile scorgere le differenze con la percezione contemporanea. Ma spingiamoci un po’ oltre.
L’improvvisatore da cinema muto
Pensiamo a quando un addetto si occupava di accompagnare il film al pianoforte. Escludiamo il caso dell’orchestra, che mi sembra appartenere più al primo caso che ho enunciato.
Il genere musicale adatto era uno swing leggero, fatto da improvvisatore, generalmente. In ogni caso, non pervasivo. Una Danse macabre di Listz sarebbe, a mio parere, risultata estremamente fuori luogo in Metropolitan, ad esempio.
Non escludo che in alcuni casi la carenza di musicisti, la scarsa attenzione mimetica dei proprietari di sale cinematografiche, come tanti altri fattori, facessero sì che il pianista non improvvisasse ma si attenesse a una scaletta. Non a tutti è congeniale l’improvvisazione.
Come si arriva a “Koyaanisqatsi”
Parallelamente, noto che tra gli improvvisatori in generale c’è più una tendenza all’appiattimento armonico (quando F leggerà dissentirà aspramente sull’appiattimento, benché nemmeno lui ami gli improvvisatori da baraccone).
Ma ecco che arriviamo a Philip Glass. Che assomiglia di più a questi improvvisatori di quanto si voglia immaginare, dal punto di vista della dicotomia armonico/melodico. Glass, che io ho conosciuto per Koyaanisqatsi dell’82, decisamente non si impone. Ho visto il primo e non ho potuto poi non seguire tutta la trilogia.
Trovo incredibile come la sua colonna sonora si sia armonizzata, in questo film unico nel suo genere, alle lande desolate, alla natura umana matrigna, agli spazi iper-affollati. Anche, ai colori, al lento scorrere di immagini non pregnanti se non per un osservatore paziente. Come se il silenzio assordante che emergeva dalle immagini fosse rimbalzato dalla musica. Con il mio amico F ragionavamo sul fatto che la musica insieme suggerisse e fosse conseguenza delle immagini. Forse, abbiamo concluso, siamo troppo abituati alle musiche invasive di Morricone, alle colonne sonore che ti stampano un motivetto, una melodia. Il ritornello musicale ci deriva dall’abitudine operistica, del musical per i sassoni. Ma non ne è esente tutta la musica classica, con il “tema”. E il tema, F questo me lo ha lasciato, deve avere caratteristiche rilevanti a livello melodico.
Due parole in conclusione
Quindi, come posso concludere questa disquisizione senza risultare pedestre? Innanzi tutto astenendomi da un giudizio finale, lasciando al rimescolarsi degli elementi musicali il compito di veicolare la mimesi diversa dei tre casi che ho citato.
Devo dire che, se F ha battezzato il mio orecchio come “melodico”, Glass pur nel suo minimalismo continua a piacermi molto.
Concluderei con un invito: ad ascoltare con più attenzione le scelte musicali che vengono effettuate nei film che la critica considera di una certa caratura. Non dimentichiamo l’homo musicus che la nostra tradizione classica ci ha reso.