Alla luce del recente maltempo veneziano, non possiamo che provare una stretta umana e nazionale. Considerando poi il fasto di una Venezia così recente, quella colorata e internazionale della Biennale 2019, non possiamo che intristirci ancora di più.
Ho ancora qualche considerazione che vorrei condividere sulle opere che mi hanno colpito in Biennale 2019. La prossima è un’opera fotografica dell’artista Tomasz PadŁo, esposta a Palazzo Mora.
Noi e il terzo mondo
Questa la descrizione dell’opera, come l’ho più o meno tradotta:
L’atteggiamento dei turisti nei confronti dei cittadini del Terzo Mondo non differisce dai diffusi zoo umani dell’Europa del XIX secolo. La rivoluzione industriale ha creato un turista di massa e la rivoluzione dei trasporti gli ha permesso di vedere e fotografare “popoli esotici” nei loro luoghi di residenza. Dalla Nuova Guinea alla Groenlandia e da Zanzibar a Chukotka.
Lo sviluppo tecnologico e la popolarità dei social network ha portato all’eguaglianza della fotografia anche tra le società povere. Si annuncia un’altra rivoluzione che distrugge gradualmente i significati attuali delle idee sopra citate: il turista si trasforma da “cacciatore” in oggetto di “selvaggina”; il fotografo si trasforma in modello. Il progetto presenta un processo di inversione di questi significati, vissuti da me durante il mio viaggio in India. Volevo essere come Phileas Fogg: sono diventato un Saartje Baartman bianco, alto, arruffato, maschio, che è stato salvato nei ricordi di almeno 156 telefoni cellulari di proprietà della gente del posto. (Fonte)
Chi è
Dopo il terzo posto al Sony World Photography Awards con la sua collezione di fotografie di paesaggio “Greetings From Kazakhstan”, il fotografo polacco si presenta come attento conoscitore delle dinamiche della geografia. Qui alcune immagini fastose e nel contempo estremamente inquinate sono immortalate con un occhio molto umano e decisamente non impersonale.
Dalla geografia politica a quella umana
Il suo lavoro prosegue con la geografia umana dell’opera della Biennale, che invece esalta la contraddizione metafotografica del ruolo del fotografo, del suo impatto nella vita “vera” e non prettamente artistica.
In un modo abbastanza viscerale, mi ha colpito.