E’ ormai finita la Biennale dell’arte 2019 a Venezia, e ci sono diverse considerazioni da fare sulla totalità delle opere. Ma lascio ben volentieri che a farle siano i critici d’arte titolati, che rischiano meno di me di incappare in grossolane semplificazioni.
The decorated shed
“The decorated shed” significa letteralmente “il capanno degli attrezzi decorato”. L’installazione si sviluppa in una stanza buia trapunta di stelle, nelle quale si entrava, come in molte altre alla Biennale, superando una tenda. Autore, Alex da Corte.
Su un tavolo centrale appare un modellino di città, con le sue casettine tipicamente americane, che da vicino sembrano quasi capanni degli attrezzi, da cui forse il titolo dell’opera. L’illuminazione deriva parzialmente dall’interno delle casette, parzialmente dall’illuminazione artificiale dei lampioncini nei vialettini, e infine dalle insegne pubblicitarie smodatamente alte che svettano al di sopra delle piccole abitazioni.
Le insegne pubblicitarie
Queste insegne rappresentano alcune catene di fast food famose negli States, e offrono uno spettacolo suggestivo, se non se ne considerasse l’estremo affollamento, rispetto alle poche casette presenti. L’immagine lascia comunque una sensazione di pace, che non credo l’artista rinnegherebbe: anzi, il suo proposito sembra piuttosto suggerire che ci siamo ormai assuefatti a tal punto alle pubblicità visive ossessive, che una scena notturna di questo tipo non ne viene disturbata, secondo la nostra percezione.
La città tipica
Questa città ci sembra (proseguo con lo sforzo interpretativo) la nostra stessa città. In realtà è una riproposizione del modellino di città presente nella serie televisiva Mister Roger’s neghborhood” e il pubblico si chinava spesso a cercare di osservare che cosa ci fosse realmente in questi capannini degli attrezzi. Soprattutto quelli con la luce spenta.