Con questo breve articolo vorrei iniziare a parlare di un piccolo percorso tematico che mi sono trovato ad affrontare, spinto dalla quarantena e dal grande ammontare di tempo libero.
Ho pensato a quale argomento, tra tutti quelli studiati nel corso degli anni, mi avesse finora suscitato così poca curiosità da conoscerne poco o nulla. Di saggi sulle invasioni barbariche non mi è mai capitato di leggerne, se non tangenziali a questo tema.
E a scuola? A scuola le invasioni barbariche sono spesso un pretesto politico per inquadrare la sociologia del Medioevo, e quindi le condizioni igieniche, l’urbanistica o meglio l’assenza – spesso – di urbanistica, le credenze, et similia.
Però dele reali invasioni che hanno avuto luogo dopo il 410 d.C. e l’invasione visigota di Roma sappiamo poco. Quel che sappiamo è che già nel Ruzante troviamo l’espressione idiomatica “farsi rapire dai Turchi”, e in diversi contesti popolari a latitudini più basse ci suona molto famigliare la popolare espressione “mamma, li turchi!”.
Chi erano gli invasori?
Le scorrerie dei pirati erano infatti cosa nota, anche se episodica, e generavano nella popolazione un terrore genuino e scomposto, molto superiore alla reale portata della minaccia. Come ricorda Marc Bloch ne “La società feudale” parlando delle incursioni dei Normanni, questi non sono che piccoli episodi in un mutamento sociale che aveva ben altre caratteristiche salienti.
Non da ultimi, abbiamo Gengis Khan, e i terribili e cruenti slavi, che arrivarono perlopiù nei Balcani.
Di che periodo storico parliamo?
Parliamo di un’epoca che va dal VII al X secolo, ed è generalmente dipinta come un momento di regresso di civiltà. Come ho scoperto studiando più da vicino il Medioevo, è una definizione oltremodo semplicistica, e che andrebbe corretta da una più attenta valutazione dei fatti.
Il motivo di questa serie di articoli potrebbe anche essere inteso come una riabilitazione del Medioevo. In questo frangente storico di pestilenza e paura collettiva, potrebbe essere il momento adatto.