90 anni di vita e diverse pagine della storia del cinema. Il saldo di Lina Wertmuller è sempre positivo, e alle sue ricche produzioni già diventate leggenda si aggiunge ora la consegna dell’Oscar alla carriera.
Lina Wertmuller, quella vera
Un nome d’arte, il suo, come accade per molti artisti desiderosi di accorciare i propri titoli e doppi cognomi rendendo infine più semplice la diffusione. Lina Wertmuller è infatti nome d’arte per Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich. Un effetto decisamente diverso, e a mio parere il nome d’arte non è lesivo di una certa struttura, pur avendo tolto il toglibile. Lina era il diminutivo dell’infanzia (Arcangelina), e “Felice Assunta” sono decisamente sacrificabili in ottica di economizzazione.
Non è figlia d’arte, ma inizia dal gradino più popolare possibile: l’Accademia Teatrale di metodo Stanislavskij diretta da Pietro Sharoff, regista russo. Qui ha imparato i rudimenti del mestiere d’attore, e ha iniziato ad innamorarsi della regia e della sceneggiatura. Ma un esordio ancora più popolare è quello delle sue scene: inizia con la regia degli spettacoli di pupazzi di Maria Signorelli.
L’inizio della carriera
Passando per la televisione, arriva ad essere assistente di regia per nientemeno che Fellini, in Otto e mezzo e nella Dolce vita. Deve aspettare il 1963 per il suo primo lavoro firmato per il grande e piccolo schermo: si tratta de “I basilischi”, la serie si sfortunate avventure di una compagnia mal assortita del sud Italia. Se non puramente neorealista, come voleva certa moda dell’epoca, il film le vale comunque la Vela d’argento al Festival di Locarno.
C’è una breve parentesi nel 1965 con Nino Manfredi nel ’65, con “Questa volta parliamo di uomini”, e un intermezzo di commedie musicali, che firma con lo pseudonimo di George H. Brown: “Rita la zanzara” e “Non stuzzicate la zanzara”, che vedono protagonisti Rita Pavone e Giancarlo Giannini, ancora ai suoi esordi.
Ma sta per arrivare il vero volto di Lina Wermuller, quello per cui la regista comincerà a stampare tra i cinefili la propria personalissima impronta.
(continua)