La palma d’oro per questa edizione di Cannes 2019 va alla Corea del Sud, che racconta una storia di sperequazione: il un giovane di famiglia povera riesce con uno stratagemma a trovare lavoro presso una famiglia benestante. La menzogna sulle sue origini e il suo curriculum genera un’escalation drammatica, che è la vera forza del film. In questo contesto iper tradizionale ma anche connotato da una crescita economica consistente, il potere persuasivo di una famiglia povera e del giovane di buona speranza non può che portare a un successo di persuasione anche del pubblico.
Premiata l’ingenuità
Ho parlato altrove di premio al sociale mentre ora, vedendo il vincitore unicamente, non posso che immaginare un premio come riconoscimento di una sorta di ingenuità perduta. Il progresso tecnologico del quale siamo stati oggetto in europa ha contribuito a livellare di molto i salari e le aspettative della popolazione in generale.
Il fascino esotico
Forse parte del fascino esotico che questo dramma sudcoreano genera è data dal fatto che attribuiamo alla loro crescita più giovane (che poi, è più giovane sono in modo relativo) un aura ben precisa. L’ho voluta chiamare ingenuità, ma può essere chiamato anche fascino sociologico per le radici perdute. Nel caso di noi italiani, non direi che è una storia simile suscita immedesimazione. E spero vivamente che non susciti nostalgismi. Tutto sommato, davvero un bel film e una vittoria meritata.