La chiamano a Trieste la “Casa Verde”, per le vistose decorazioni floreali sulla facciata. Non pensiamo ai pampini neoclassici, sono decorazioni che l’architetto Max Fabiani ha dovuto inserire per passare il vaglio dell’amministrazione della rigida cittadina asburgica. Ricordavo di aver parlato in precedenza dell’Art Nouveau, ed ecco che ho ripescato dove: qui. Casa Galimberti a Milano.
La linea sovrana
“Comunque, il referente di quelle immagini non è, evidentemente, il realismo dell’ambiente naturale, non è nemmeno lontanamente mimetico della natura. Che non aspirasse al realismo o al verismo era abbastanza ovvio, tuttavia questo ritorno alla simbologia delle decorazioni arcaiche ci lascia intravedere un ritorno circolare alla schiettezza della linea, quella stessa delle statuine cicladiche. La linea sola è portatrice di forma, e questo rende l’arte liberty e gran parte del design contemporaneo molto appetibile alle grandi masse”. Questo è quanto dico a riguardo di Casa Galimberti, e grossomodo trovo che sia un’interpretazione valida anche per la casa verde di Trieste.
Il fiore e casa Bartoli
Lo stesso florilegio triestino ha ben poco di simbolico, però in piazza della Borsa, dove la casa verde è situata, fa un certo effetto.
Forse perché lo si vede riproposto in chiave di decorazione orientaleggiante in tutte le città dell’impero austriaco che sottostavano ad esempio al dominio magiaro, come Fiume. Anche a Trieste compare il fiore così stilizzato come elemento decorativo, ma inserito con discreta sobrietà nelle facciate. Al massimo, in stucco bianco. Qui invece il fiore assume con prepotenza lineare un compito stilistico di preminenza.
Max Fabiani era un allievo di Otto Wagner, noto (quest’ultimo) per aver partecipato per ben cinque anni alla Secessione viennese in contrapposizione al dominante stile Künstlerhaus.
Art Nouveau
Quello di Fabiani è considerato un tipico monumento all’Art Nouveau, con un’iniezione di arte locale.
E’ stata commissionata dalla contessa Muratti Bartoli nel 1905, per questo nota anche come casa Bartoli.
Ma per la sua particolare ubicazione, in piazza della Borsa a ridosso del ghetto ebraico, assunse anche funzione di ristorante kosher per gli ebrei osservanti che qui lavoravano. Al terzo piano, precisamente, mentre gli ultimi piani del palazzo avevano funzione residenziale/ di ufficio.
In questa casa convivono diverse spinte:da un lato, l’indecenza percepita dall’amministrazione locale, che ha voluto l’inserto “decoroso”. Dall’altro, la lezione recepita dal maestro. In ultimo luogo, l’integrazione con l’ambiente circostante. Che sembra incredibile, ma c’è.