“Li pittori devono procurare di riuscire nelle opere grandi, cioè in quelle che possono piacere alli signori nobili, e ricchi perché questi fanno la fortuna de’ professori, e non già l’altra gente, la quale non può comprare quadri di molto valore”.
Questa sentenza, come facilmente avete intuito, è attribuita al celeberrimo pittore veneziano Giambattista Tiepolo, e trovo che possa sintetizzare agilmente quello che si pensa, che è, e che l’autore pensava di sé.
Un pragmatico artista
Quale secolo più adeguato del ‘700 per manifestare una certa compiacenza dell’oligarchia del gusto, verrebbe da dire. Ma in realtà la democraticità dell’arte ce l’ha avvicinata l’800, salvo poi esserne brutalmente allontanati di nuovo dalle avanguardie moderne.
Ma poi, quando Tiepolo a 19 anni cominciò a lavorare nientemeno che per il Doge, da orfano di padre qual era, il ventaglio di poetiche che gli si apriva davanti era fortemente ancorato a un altro ventaglio, quello del portafoglio dei committenti. E’ solo dopo i 50 anni che realizza la sua grande opera internazionale, la residenza di Wurzburg, che se vogliamo rappresenta il suo apice a livello di fama e di retribuzione.
Alla ricerca di retribuzione
Non ci è rimasto molto materiale letterario a consentire di tracciare una poetica scritta del Tiepolo.
Penso però di immaginarmelo, questo giovane cadetto delle arti che tergiversa poco su idee di poetica. Lui deve mangiarci, con la sua pittura, e con quell’artigianato corporativista che gli avventurieri veneziani dell’epoca ci hanno insegnato, anche lui si avventurava in questo mondo di nobiltà colte e imbellettate, con il suo farsetto di seconda mano, con la dignità dell’opera propria e dei soldi in tasca.
La semplicità Barocca
Rococò e Barocco non sono certo emblemi di semplicità. Ma quando ho visto la residenza di Wurzburg, soprattutto l’affresco dello scalone all’ingresso, non sono stato soverchiato dalle volute e dai colori pastello, come mi capita invece ad esempio con il Parmigianino (e qui i critici inorridiranno).
Per questo quando mi immagino il Tiepolo, me lo immagino come il Michelangelo, appeso a pancia in su. Ma senza bestemmiare e scrivere volumi di poetica, Giambattista faceva una pausa per il the, stava composto, salutava il signore all’entrata. Si annoiava, anche, e il pensiero materialistico lo spronava avanti.