La britannica Tate Modern Gallery apre le porte al “nostro” Amedeo Modigliani.
Uno scorcio sul suo periodo inglese, come vuole l’etichetta che lo vede collocato in questo contesto d’avanguardia british. Un occhio di riguardo per la “musa” Beatrice Hastings, che in realtà fu ben più che un individuo di passività ammiratoria, quale il termine “musa” tende a definire.
Una donna dai molteplici interessi e dalle relazioni spesso controverse, ma sempre di caratura artistica interessantissima.
Insieme alle relazioni mondane e all’ispirazione semicarnale, i compagni culturali: Léopold Zborowski, come anche la compagna di una vita del pittore, Jeanne Hébuterne.
Le opere esposte sembrano interessare perlopiù i nudi femminili e le teste scolpite, ma anche i ritratti che l’artista fece ad amici e personalità illustri (sempre, culturalmente parlando) dell’epoca. Prima della guerra, prevalentemente.
Di Modigliani ho sempre amato la composizione.
Sembra che di composizione si parli spesso quando tutti gli altri dettagli siano stati vagliati e giudicati irrilevanti, o di mediocre fattura. C’è quest’idea ad esempio nella fotografia. Essendo all’80 per cento fotografia realistica, nel senso di non surreale, il fuoco e il colore vengono perlopiù trascurati in nome del messaggio, del simbolo. E l’occhio non può che essere catturato dal segno che gli fa comprendere il simbolo. E, come naturale conseguenza, l’oggetto fotografico non può che far parte di un ragionamento più ampiosulla composizione.
Non sto dicendo affatto che io consideri Modigliani con occhio fotografico, il che lo relegherebbe nell’angolino del design.
Notato il tratto, assimilata la sua cromia a volte lugubre, a volte bizzarra, sempre a mio parere in modo realistico, non si può che fare un passo indietro sulla composizione. E’ lei la vera protagonista, è il quadro nella sua interezza che consente alla peculiarità del nostro di emergere.
Ovviamente, non sto parlando delle sculture. Ma penso che fosse chiaro.