Il concetto di moltiplicatore degli investimenti si applica anche a campi meno rapaci della finanza. Dice Ansa che su un milione di investimenti nell’audiovisivo in Italia ne sono ritornati il triplo.
E non solo limitatamente ai confini del settore:
«Cento milioni investiti creano migliaia di posti di lavoro: potenzialmente una media di 2281 occupati in più non concentrati solo nel settore ma che comprendono anche, fra gli altri, manifattura, costruzioni, istruzione, sanità e agricoltura».
Il posto di lavoro nel cinema
Diciamocelo, nessuno ambisce alla stabilità entrando nel mondo del cinema come lavoratore di qualsiasi tipo. Dal macchinista al tecnico luci, passando per l’attore – forse la figura più precaria di tutte, il creativo per eccellenza. Ma anche registi, sceneggiatori, scenografi, tutte le figure che con il proprio ingegno concepiscono personaggi, luoghi, sensazioni: non è possibile garantire a costoro la fissità di un impiego, anche perché la creatività stessa, a differenza forse della produttività aziendale standard, non può essere imbrigliata nei confini del lavoro tradizionale.
Attenzione, con ciò non si pensi che io sia contrario a delle forme di integrazione salariale o di tutela nei confronti degli operatori artistici. Tutt’altro!
Però ecco, diciamo che concepisco la precarietà come una spinta produttiva, e capisco che coltivare la costanza della creatività sia necessario per questo tipo di figure.
Ma torniamo alla notizia.
Investire nell’audiovisivo: una scelta d’occupazione
L’investimento nell’audiovisivo potrebbe sembrare una scelta che non ha troppe ricadute sull’occupazione. Si tende a pensare a budget ampi e a film di un certo genere, ai colossal, ai film d’azione. Insomma, dove il denaro serve a creare un’ambientazione specifica.
Quel che si tende a dimenticare è che anche i low budget hanno bisogno di un aiutino, di una spintarella per emergere. Soprattutto, per la formazione delle professionalità ad hoc, che secondo il reportage che ho citato sopra scarseggiano.
Anche perché il mercato della produzione audiovisiva è diventato sempre più globale, ed è fisiologico dislocare la manodopera dove costa meno.
In conclusione: investiamo nel teatro, investiamo nel cinema. Investiamo nella formazione locale di quelle professionalità che hanno reso artisticamente grande il nostro Paese negli anni 60 e 70.
Abbiamo le prove del fatto che funzioni: è il momento di risalire a cavallo.