Non i grandissimi come Proust, non i best seller come Stephen King e J.K. Rowling: nessuno sfugge al rigetto da parte degli editori. Nemmeno alcune opere considerate rappresentative di un’epoca, disturbanti e oggi imperdibili.
Anche Nabokov e John Le Carré infatti subirono un vistoso rigetto.
Lolita seppellita
“Consiglio di seppellirlo sotto una pietra per migliaia di anni”. Questo fu il commento di un editore al celebre “Lolita” di Nabokov.
Nabokov lavorò a Lolita per cinque anni e, quando lo terminò nel 1953, dovette aspettare altri due anni per vederlo pubblicato. Era già uno scrittore di prestigio e pensava che sarebbe stato facile trovare un editore, ma la verità è che i quattro maggiori editori degli Stati Uniti rifiutarono il libro. Fu ritenuto impubblicabile in piena censura maccartista.
Nabokov finì per piazzare la sua opera presso la Olympia Press, una casa editrice parigina specializzata in letteratura erotica, che ne pubblicò cinquemila copie in Francia, in inglese.
Alcuni Paesi chiesero addirittura, all’inizio, di sequestrare le copie che circolavano in ambienti internazionali, con scarso successo come spesso accade quando si tenta di arginare un fenomeno incontenibile.
John Le Carré
Il primo romanzo di John Le Carré, The Spy Who Came in from the Cold, ebbe una pessima accoglienza dagli editori. Lo stesso fu per Il diario di Anne Frank. T.S. Eliot deprecò George Orwell e il suo “La fattoria degli animali”.
Ma anche James Joyce ha impiegato nove anni per pubblicare il suo libro Dubliners, dopo aver tentato senza successo di venderlo a più di quindici editori. Viene battuto nel record da Samuel Beckett, che subì 42 rifiuti per il suo primo romanzo, Murphy, finalmente pubblicato da Routledge nel 1938.
Di autori rigettati ce ne sono molti, anzi oserei dire la maggior parte. Certo, la discrepanza tra la forza e la quantità dei rifiuti e il successivo conclamato successo ci fanno riflettere: esiste un canone universale a cui attingere per valutare la grandezza di un’opera? Possiamo dire di avere tutti gli strumenti per capire cosa avrà successo e cosa no?
Ma soprattutto: esiste ancora una sensibilità letteraria collettiva, o possiamo finalmente abbandonare la critica letteraria e lasciarci sciogliere in un “S’ei piace, ei lice”?