Artemide era la dea della caccia nella mitologia della Grecia classica. Non stiamo a sottilizzare sulle altre sue attribuzioni, ad esempio di dea della Luna e della castità, limitiamoci a dire che viene spesso rappresentata in compagnia di ninfe che la seguivano ovunque andasse.
Erano bellissime ninfe, che non sceglievano marito per potersi dedicare esclusivamente al culto della dea, e perciò la dea le teneva in grande considerazione e riponeva in loro una grande fiducia.
Aretusa
Tra queste vi era una Nereide particolarmente bella, ovvero una figlia del dio Nereo: si chiamava Aretusa. Aretusa – come Artemide – aveva sviluppato una particolare abilità per la caccia, e un’agilità che le era molto utile quando doveva rincorrere lepri e fagiani nel sottobosco. Un giorno Aretusa correndo dietro a una piccola preda si trovò vicino alle acque limpide di un fiume, si spogliò e si immerse nell’acqua.
Non aveva mai visto quelle zone e desiderava solo rinfrescarsi. Non sapeva che erano in realtà territorio del dio Alfeo che non appena la vide ne rimase Improvvisamente e inequivocabilmente innamorato.
Alfeo
Non volendosi limitare a una platonica adorazione, Alfeo decise di inseguirla, mettendo in atto il vero e proprio stalking che siamo abituati ad attribuire alle divinità antiche.
Artemide decide infine di intervenire con il potere divino e di salvare la sua Ninfa avvolgendola in una fitta nebbia e portandola in salvo: la trasformò in una fonte d’acqua fresca vicino all’isola di Ortigia, poco distante dal Mar Ionio.
Quando Alfeo seppe che Artemide aveva spostato e metamorfizzato Aretusa in Sicilia, decise di non rassegnarsi. Chiese di poterla incontrare e si fece trasformare in un fiume sotterraneo, lo stesso fiume sotterraneo che Eracle usò per spazzare il letame dalle stalle di Augia durante una delle dodici fatiche.